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Leggi anche il NON libro "Cammina tre lune nelle mie scarpe"

martedì 6 febbraio 2018

Cammina tre lune nelle mie scarpe. Parte terza. Cap.12

Parte terza

              Domande, risposte - domande senza risposta


Ecco ciò che sento nella mia profonda ingenua fragilità.
Perché dovrei fermare l'espressione autentica di libertà, che prorompente divampa nella mia Mente, nel mio Cuore, nella mia Anima?
Perché sento questa perenne lotta, tra me e me: la mia arte come fonte sincera di espressione comunicativa o la mia arte che mi permette di vivere? Questa domanda senza risposta mi attanaglia. Mi sono messa in testa o montata la testa, di essere una creativa che può farcela, non sarebbe meglio però guardare alla realtà e utilizzare questa fonte inesauribile solo per puro hobby?
Si giunge  in questo modo, ad una vita vissuta a metà, non appieno, con mille speranze, mille illusioni. A volte ci si lascia andare e si crede che nulla sia irrealizzabile; poi le mazzate arrivano, sempre. Si torna così ad accantonare progetti, chiudere i sogni in un cassetto e a volte, si vorrebbe gettare via la chiave, per non soffrire ancora. Dimenticare, dimenticare di essere ciò che si è,  ed essere semplicemente ciò che gli altri vorrebbero che tu fossi, sarebbe più facile forse, anche se non proprio appagante.
Ho un sogno semplice: vivere della mia arte.
Trovare un'azienda che possa darmi fiducia e utilizzare le mie immagini per le proprie collezioni.
Un sogno, a quanto pare, irrealizzabile.
I piccoli imprenditori non hanno interesse a creare qualcosa di nuovo.
Le grandi aziende hanno nel proprio organico personale qualificato per questo compito e non comprano file da artisti esterni.

Sono, siamo, destinati ad utilizzare la nostra creatività come arma da difesa personale, come un qualcosa fine a se stessa, come una terapia alla routine, come un sogno mai sognato.

C’è da domandarsi perché, a che serve credere in ciò che si fa? A che serve avere passione, capacità, talento? A che serve avere un sogno?

E poi comprendi. Comprendi l'epoca in cui stiamo vivendo e capisci che non potrai mai farne parte.
I sogni si avverano se hai 25 anni e fai l’influencer o la youtuber, se si è connessi perennemente e hai un certo numero di followers. Questa è la realtà odierna. Non credo più nelle fiabe: l’editoria e l’arte in genere sono brevi attimi fugaci; accattivanti ma illusori. Si giunge ad avere successo solo se si può investire (parecchio) su se stessi e se si conoscono persone importanti in ambito artistico.
Se si riesce a costruire un  buon curriculum, partecipando a costose mostre, allora forse e dico forse, si ha qualche possibilità. La meritocrazia non esiste da tempo. 
In campo editoriale poi, non ha alcuna importanza saper scrivere in un italiano corretto, ciò che conta è essere appetibile per le case editrici; se ci vedono un buon margine di guadagno pubblicheranno i tuoi scritti, meglio se stupidi, leggeri, o basati sul sesso ( quello porta sempre guadagno). Chi scrive poesie come me non ha mercato, parliamoci chiaro. Chi legge preferisce la futilità; letture troppo impegnative, o riflessive, causano disagio, sono fardelli; ricordano la vita, il periodo nero che tutti noi stiamo vivendo. 
 E adesso, sono stanca di essere quel mulo che sempre trascina; di avere seguaci che temo, credono in me soltanto perché sono disposta a portare avanti i desideri altrui. Sono la tizia che fa comodo a molti, che smuove persone, che sconquassa, crea scompiglio per portare a riflessioni. Questo mi fa sentire importante, è vero, ma non è abbastanza. Non più. Mi sembra sia tutto tremendamente momentaneo. L’arte è transitoria, la poesia lo è. Ora è questo che i miei occhi  vedono con chiarezza; ho conosciuto bene questo mondo e ho capito che  è molto distante dal mio sentire. Tutti pronti appena alzo il mignolo e poi? C’è mai stato qualcuno di questi “amici” che mi abbia detto, ho un progetto concreto, ti voglio al mio fianco?
Chi ha mai avuto iniziative verso di me? Sono sempre stata io a dire facciamo qualcosa insieme;sempre io a sgobbare; sempre io quella che si prendeva le beghe, che ideava un progetto, che lo mandava avanti e i risultati erano concreti, visibili, reali, non chiacchiere.
Ebbene, ora sono stanca.
Vorrei poter vivere della mia arte. Vorrei che la mia arte mi portasse il pane quotidiano da dividere con la mia famiglia. Ah! Pura utopia.
 Vorrei essere ignorante, perché chi vive nell’ignoranza, nel piattume più totale, non ha aspettative, non ha sogni da realizzare, non cerca  nulla di meglio di ciò che già ha. 
Vorrei essere foglia e farmi trascinare, un piccolo ruscello che scorre e nulla più.

No, non è vero, sto dicendo cose senza senso; non potrei mai essere statica, non fa parte del mio carattere.

Mi sento terribilmente divisa a metà. Tra una me, casa e famiglia e l'altra me, guerriera indefessa che vuole cedere all’ambizione.
 Secondo qualcuno è impossibile far coincidere lavoro e famiglia; secondo qualcuno è necessario scegliere, tra lavoro e famiglia. 
Per me, non è così.
E dunque questo conflitto porta a modificare, almeno in parte, il proprio pensiero. È necessario ragionarci su, fermarsi. È necessario, perché è lo spirito di sopravvivenza che lo chiede, forte e chiaro.  Grazie a questa intuizione,  ognuno di noi è in grado di mettersi al sicuro.  La  mente si spegne e prende il controllo la parte più antica del nostro cervello.
Ci sono delle occasioni in cui abbiamo bisogno di mettere in pratica le parole dello scrittore spagnolo Armando Palacio: "Quando è vicino al baratro e la notte è buia, il cavaliere saggio lascia le redini e si affida all'istinto del cavallo".


Foto by ©Raffreefly

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